Note a margine

Mi fermo un attimo a riflettere sulle parole di Martin Matra di Sumotalk (“Asashoryu non mi è affatto mancato”) e riguardo i bouts di queste prime due giornate con la netta e sempre più crescente sensazione di essere stato defraudato di una parte dello spettacolo, della parte che crea emozioni indipendentemente dal risultato: la gestualità, i ritmi, il sumo di Asashoryu.

Mike Wesemann ha scritto che Asashoryu è diventato Yokozuna per ciò che ha fatto sul dohyo e viene punito per ciò che ha compiuto lontano da esso, osservazione che non farà piacere a Julien, strenuo assertore dell’ortodossia deontologica cui deve attenersi uno Yokozuna, e che, pur sembrando pleonastica, coglie ancora una volta il senso della mia insoddisfazione nei confronti della gestione del potere da parte del NSK.
Sono parzialmente consolato dalla constatazione di non essere l’unico a pensarla in questo modo e ad essere colpito e frastornato dall’assenza dello Yokozuna imperante.

Un periodo come questo, pieno di segnali negativi per il sumo, non aveva bisogno di un tale vuoto; Asashoryu ha scontato colpe che ad altri sono state perdonate sulla parola, ma la sua pericolosa vicinanza ai vertici della classifica di sempre, quella che i giapponesi vedevano minacciata senza più argini, ha decretato la sentenza più vergognosa che si potesse emettere.

Riguardo i bouts, dicevo, e mi trovo ad apprezzare un segmento qua e là, un tachi-ai ed un kimarite, Kotomitsuki e Kaiho, ma vedo anche meglio tutte le cose che sono solito ignorare, forse ben celate dai lampi di classe o dagli errori del Grande Mago Mongolo, sui quali si accentrava gran parte della nostra attenzione.

Qualche mese fa, in una intervista radiofonica, mi chiesero in che modo Asashoryu avesse innovato il sumo o lo avesse addirittura rivoluzionato. Risposi che le sue qualità tecniche e fisiche, unite al grande senso ritmico e dinamico del match, avevano portato a rivedere alcune regole codificate ed avevano perfino trovato impreparati i giudici in alcune situazioni di difficile decifrazione. Ovvio, ma ingombrante.

Egli ha fatto qualcosa per il sumo, nessuno lo può negare, ma ai giapponesi non garba che si mettano in discussione Taiho e Chiyonofuji, Kitanoumi e Takanohana, neanche per puro esercizio mentale, ed allora lo stupido pretesto che l’incauto Asashoryu ha colpevolmente messo a disposizione dei signori in nero, ritenendo, da becero, di non andare oltre il punto di non ritorno, è diventato il grimaldello con cui scardinare il suo forziere, l’abracadabra atteso da anni per ridurlo all’impotenza e, forse, al ritiro.

Sono pensieri nati da una frase poco accorta, a mio parere, e che amplifica in me l’idea di ciò che stiamo perdendo.

Sayonara.