Yokozuna Post Basho

Quando si assiste ad un match di sumo per la prima volta -regola universale- ci si chiede come mai i due adiposi protagonisti attirino tanta attenzione ed entusiasmo, dato che il confronto sembra apparentemente privo di quei momenti spettacolari che rendono tanto avvincenti altri sport ed arti marziali come judo, karate o K1, piuttosto che pagliacciate inguardabili come il wrestling.
Nel caso in cui la curiosità spinga una persona di media intelligenza ad osservare più attentamente i fatti che si svolgono sul dohyo, però, ecco che scatta la scintilla dell’ammirazione per quegli atleti così preparati fisicamente e tecnicamente.
La passione, se ormai scaturita, riesce infine a compiere il miracolo della definitiva cattura dell’attenzione, portando il malcapitato sumofanatico ad escogitare mille stratagemmi per sottrarsi al lavoro quotidiano almeno 60 giorni all’anno (escludendo i sabati e le domeniche) e godersi la diretta dal Giappone.
Per chi si sia identificato nella leziosa premessa (e spero siano tanti) non sarà difficile sopportare questo mio intervento; agli altri consiglio di cambiare orizzonte sportivo.

Osaka è una città che Asashoryu ricorderà per sempre come il luogo della sua rinascita agonistica. La vittoria lo colloca tra i grandi del sumo di ogni epoca, fatto non più contrastabile dai falchi del Kyokai (a parte la deliziosa Dama Innominabile). Ciò che non gli era riuscito a gennaio, malgrado un miglior punteggio di arrivo al senshuraku, si è compiuto nella nostra mattinata di Pasqua.
Bisogna dire subito, ad onor del vero, che il match decisivo non può essere neanche lontanamente paragonato a quello vinto da Hakuho a gennaio, considerato uno dei migliori combattimenti di sumo mai disputati, ma il fatto stesso che il Grande Mago Mongolo sia tornato al successo conferisce un valore affettivo del tutto particolare anche alla sfida di marzo. Asashoryu aveva condotto senza esitazioni la prima settimana, complice l’henka che il perfido Aminibelushiki aveva somministrato ad Hakuho, ed è poi incappato nelle due sconfitte più evitabili degli ultimi anni. La prima dev’essere stata indotta dalla troppa gioia nell’aver visto poco prima Hakuho perdere il suo secondo bout, mentre la seconda è nata da un errore tattico ben sfruttato da Kotomitsuki. Senza queste distrazioni, specialmente la prima, non ci sarebbe stato bisogno di un senshuraku così carico di pathos, benchè a nessuno, credo, sia dispiaciuto vedere lo scontro decisivo tra gli Yokozuna. L’epilogo degli ultimi due Tornei ha fatto capire a tutti quale danno sia stato procurato al sumo con la squalifica inflitta ad Asashoryu.

A prima vista, magari con gli occhi di un distratto frequentatore delle vicende del sumo, l’Haru Basho potrebbe apparire meno valido dell’Hatsu che l’ha preceduto. Entrambi gli Yokozuna sono stati battuti due volte e gli Ozeki sono sfuggiti a malapena al make koshi. Invece, secondo me, si è trattato di un bel Torneo, combattuto ad un buon livello generale e con acuti di notevole spessore. E’ mancato il bout leggendario tra i dominatori, è vero, ed Hakuho ha chiuso con lo stesso 12-3 che gli era valso lo yusho di novembre, ma i due Yokozuna hanno espresso un sumo pregevole, così come altri rikishi di grado meno elevato.

In questo contesto, la vittoria di Asashoryu va ad incastonarsi come una gemma preziosa ma, speriamo, non rara. Preziosa perchè ci restituisce un campione dato per finito e che ha sopportato una pressione psicologica difficilmente paragonabile a situazioni assimilabili in altri sport. Nel sumo è diverso. Le voci sulla salute mentale di Asashoryu ci hanno accompagnato per tutto l’autunno nell’incrollabile speranza di ritrovare lo Yokozuna ribelle (ed anche molto ingenuo) a lottare per la Coppa dell’Imperatore. La performance di gennaio aveva rincuorato tutti, almeno per quanto riguardava la forma fisica; mancava, però, la tranquillità della superiorità consapevole. Con attenta ed acuta intuizione, Marco DD aveva osservato che il passaggio sul lato ovest del dohyo potesse aver creato un certo disorientamento strutturale, non essendo stata più frequentata per molti anni. E’ un’ipotesi credibile e che si aggiunge al naturale spirito di immediata rivincita che ha leggermente condizionato, a mio giudizio, proprio lo showdown di gennaio. Raramente, infatti, avevo assistito ad un match di vertice in cui il promotore di un doppio attacco con tentativo di tsuridashi avesse poi perso. Trattandosi di due Yokozuna, appunto, ed essendo incontestabile il fatto che gli stessi Yokozuna siano da considerarsi tra i più forti di tutti i tempi, risultava evidente che Asashoryu avesse compiuto un errore nel non saper concludere a suo favore il match, stante, comunque, la grande classe di Hakuho nel resistergli e poi batterlo.

Sono due grandissimi rikishi, non possono esistere dubbi al riguardo. Ma per molti di voi, e di coloro i quali scrivono di sumo nel resto del mondo, Asashoryu sembra avere ancora un certo margine di vantaggio, è più “impressive”: cercherò di approfondirne, con il vostro insostituibile contributo, le ragioni.

Le doti fondamentali dei due Yokozuna sono sostanzialmente diverse: Asashoryu ha costruito il proprio dominio sulla micidiale combinazione di talento innato e sorprendente adattabilità tecnico-tattica, fattori espressi attraverso una splendida velocità d’esecuzione, mentre Hakuho si è imposto principalmente mediante la perfetta padronanza e la progressiva conversione in tecnica pura del suo grande vigore fisico.
Entrambi portati a soffocare l’iniziativa altrui, i due fenomeni mongoli si sono proposti fin dal loro rispettivo apparire come artefici di un sumo diverso dagli schemi classici adottati dai precedenti campioni. Con Asashoryu, in particolare, certe raffinate soluzioni sono parse talmente naturali da far sembrare gli avversari in totale assoggettamento psicologico già al tachi-ai. Hakuho, da parte sua, ha scalato il banzuke capitalizzando il portentoso potenziale energetico ricevuto in dono dagli avi conquistatori e modellando il suo modo di fare sumo sulla straordinaria capacità di mantenere l’equilibrio sul dohyo anche in situazioni difensive estreme.
I loro confronti diretti vivono di queste peculiarità e sono destinati e riempire la galleria del Kyokai, ma la propensione per il sumo di Asashoryu viene convalidata da un argomento comparativo: se Hakuho, infatti, ha una maggior attitudine al sumo di sfondamento, diciamo alla Akebono, Asashoryu è in possesso di un maggior numero di varianti offensive, dallo tsuppari selvaggio alla manovra più ragionata, diciamo tra Chiyonofuji e Takanohana. Lo spostamento laterale veloce, ad esempio, trova spesso Hakuho in leggero ritardo di risposta, come nel bout finale di marzo, a differenza di quanto siamo abituati a vedere con il Grande Mago Mongolo ed i suoi prediletti scatti di bacino, assestati al fine di disorientare l’avversario circa la successiva opzione offensiva.

Piccola digressione sommessamente aneddotica ed autoreferenziale: a proposito del soprannome coniato a suo tempo per Asashoryu, mi è capitato di sentirmi chiamare così da un amico che non vedevo da molti anni e che non sapevo essere un appassionato di sumo. Dato che mi trovavo nel bar dove spesso faccio colazione, ho visto molte persone girarsi verso di me con sguardi interrogativi ed increduli. Essendo seguita una conversazione tutta riferita al sumo, condita di nomi e termini necessariamente giapponesi, vi lascio immaginare quale scalpore abbia destato tale intermezzo tra i presenti, molti dei quali conoscenti di vista. Ma la sorpresa è stata rafforzata dal fatto che uno sconosciuto si sia avvicinato e mi abbia detto che seguiva il sumo in televisione e che era molto dispiaciuto per l’interruzione delle trasmissioni. Non ho potuto far altro che esprimergli la mia solidarietà ed invitarlo a seguire i vari siti che tentano di sopperire a tale lacuna. Che soddisfazione, però!

Mi congedo lasciando ai miei colleghi l’onere e l’onore di sviluppare i temi riguardanti gli altri protagonisti dell’Haru Basho, dato che non mi sembra corretto occupare, da solo, tutto lo spazio disponibile.

Sayonara.