Oltre il dohyo

Una vecchia e saggia regola del sumo, di cui non si conosce l’origine certa, recita che un commento post-basho vale finchè non sia terminato il mese successivo a quello in cui si è svolto il Torneo da commentare, ragione per cui questo mio intervento trova piena cittadinanza in questo blog. Nell’accingermi a scriverlo, poi, mi è tornata in mente una considerazione che avrei voluto proporvi già in passato, senza però ricordarmi di farlo. Si tratta semplicemente di questo: vorrei sempre poter contare sull’arruolamento di qualche nuovo fan, perciò mi dedico alla mia futile fatica ottobrina invitando gli eventuali nuovi ospiti del sito, ma anche tutti coloro che navigano nelle nostre acque territoriali da più tempo senza manifestarsi, a scrivere e fornirci impressioni e suggerimenti, oppure porre quesiti e chiedere delucidazioni sul mondo del sumo. Mi accorgo spesso di quanto la terminologia adottata nei nostri interventi, specie nei commenti quotidiani ai Tornei, sia molto specialistica e di difficile apprendimento, anche a causa dell’assenza del sumo dai palinsesti televisivi. Con le trasmissioni di Eurosport, infatti, si riusciva a mettere a fuoco, pur con qualche oggettiva difficoltà, la vera essenza del sumo e delle sue infinite sfumature agonistiche e culturali. Esistono i glossari e tutta una serie di strumenti per orientarsi, è vero, ma quando qualcuno legge una pagina di sumo per la prima volta, magari attratto soltanto dal fascino del Giappone, vorrebbe forse scorrere speditamente le righe senza dover ricorrere a decifratori ed ipertesti.

Per qualsiasi appassionato di sumo, di ieri e di oggi, la propria ERA viene considerata come la migliore, con i più grandi campioni sul dohyo e con le migliori prestazioni in assoluto. Ai nostri giorni questi discorsi sono l’attualità e siamo abituati a vedere Asashoryu ed Hakuho dividersi il pubblico e gli yusho, seppure in modo diseguale e con qualche intermezzo bulgaro o conterraneo. Hakuho ha rapidamente acquisito il piglio dello Yokozuna dominante ed ha raggiunto gli 11 titoli, mentre Asa ha conquistato -finalmente- quel ruolo di terza forza di sempre nella storia del sumo che andava cercando da un paio d’anni, appaiando il celebre Kitanoumi a quota 24 yusho. Nella classifica di tutti i tempi, però dovremmo considerare anche il leggendario Raiden, il fenomenale rikishi vissuto tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 e sul quale abbiamo notizie di una straordinaria possanza fisica, tale da uccidere sul dohyo. I suoi yusho sono 28, ma ho già avuto modo di spiegare che all’epoca si svolgevano al massimo due Tornei all’anno, e non tutti gli anni. Guerre, carestie ed epidemie varie tenevano spesso lontano il pubblico e gli stessi rikishi, e comunque i partecipanti si contendevano la vittoria sulla distanza dei 5, 7 o 10 combattimenti, a seconda del periodo e del numero dei partecipanti. Paragonando i 28 yusho di Raiden a quelli di Asashoryu, solo per ipotesi, e considerando lo svolgimento di 6 Tornei all’anno anche un paio di secoli fa, potremmo speculare su un record di 55/60 yusho, cifra da capogiro. Non potendo confrontare validamente le due ERE, mi limiterò a considerare Raiden un personaggio dai contorni quasi mitologici e mi riporto all’odierno con uno scattante tachi-ai.

L’Aki Basho di Asashoryu era iniziato sotto i peggiori auspici, con notizie costantemente negative sul suo stato di salute e le tante polemiche per i suoi pochi allenamenti. Lo stesso Grande Mago Mongolo contribuiva -astutamente- a rafforzare l’impressione generale di uno Yokozuna Ovest incapace di reggere per tutto il Torneo. Peggio: Asa dichiarava di non potersi difendere a dovere e indicava addirittura agli avversari i suoi punti deboli, tanto da far credere di non avere neanche intenzione di gareggiare. Tutto questo defluiva dalle cronache e dalle interviste, ma nel frattempo il devastato Yokozuna covava ben altri progetti. Ce ne siamo accorti al primo tachi-ai. Poi è stato un susseguirsi di attacchi, scarti, sollevamenti, parate e risposte, come se avesse assunto una specie di Viagra del sumo. Le vittorie si sono succedute senza particolari momenti d’apprensione, così come quelle del fierissimo e strapotente Godzilla-Hakuho, ma in agguato c’era un altro nipotino di nonno Gengis, quell’inaspettato Shotenro al quale gli Dei del sumo avevano segretamente affidato il compito di sparigliare la classifica e costringere lo Yokozuna Est a rincorrere fino al Senshuraku. Tale evento ha posto il rigenerato Asashoryu in condizione di dare appuntamento al rivale per la domenica del suo compleanno ed attendere di ricevere magari qualche altro favore dalla sorte. Hakuho ha vacillato con Kakuryu, altro rikishi nato in Mongolia, ed ha faticato sempre un pochino più di Asa, però ha mantenuto il distacco alla sola lunghezza che lo separava dal kettei-sen. Siamo quindi arrivati all’ultimo match del Torneo con la sensazione che Asa riuscisse a vincere rimanendo zensho, cioè imbattuto, e la veloce conclusione in favore di Hakuho ha colto tutti, me compreso, decisamente di sorpresa, tanto era stata facile. Ma la vittoria nello scontro diretto aveva forse illuso il giovane Grande Campione sull’esito del successivo spareggio, facendogli dimenticare le precedenti esperienze. Al momento opportuno, infatti, come a seguire una trama letteraria scritta solo per lui, Asashoryu ha di nuovo preso il comando delle operazioni e ci ha regalato un’altra storica performance, tenendo testa con intelligenza e grande tonicità fisica al motivatissimo Hakuho, fino all’epilogo spettacolare e liberatorio così aspramente censurato dallo YDC.

Non voglio dilungarmi nel ripercorrere millimetricamente le tappe dell’Aki Basho del vincitore, per quello ci sono i commenti giornalieri di tutti i cronisti del sito e del grande amico Pippooshu, con il suo indispensabile blog. Vorrei piuttosto cercare di approfondire l’aspetto psicologico del comportamento di Asashoryu prima, durante e dopo il Torneo.
Come ha potuto, il Divo Mongolo, tenersi in penombra e simulare uno stato di forma precario per tutti i preliminari dell’Aki Basho? Probabilmente, ma è un’impressione personale, egli credeva realmente di non essere in grado di combattere al suo livello, altrimenti, come scherzosamente rimarcato durante le schermaglie con gli amici del blog, bisognerebbe assegnargli l’Oscar per la miglior interpretazione dell’anno. Asa sapeva di non poter esprimere tutto il suo vero potenziale, di essere vulnerabile a certi tipi di attacchi e di voler provare a stare sul dohyo per trovare l’assetto giusto strada facendo. Non sarebbe stata la prima volta, del resto. Ha perciò iniziato, sempre secondo me, con la riserva mentale di un ritiro in corsa qualora avesse subìto danni fisici o non fosse riuscito a vincere sempre, ed in modo convincente, nei primi 6/7 giorni. Per seguire questo suo progetto, e forse qualcuno di voi si sta convincendo che non sto delirando, Asa ha deliberato di scegliere il percorso più consono al suo carattere ed al suo modo d’intendere il sumo: attaccare al massimo delle possibilità, senza dare respiro all’avversario e senza quelle esitazioni che gli erano costate care negli ultimi tempi. Ha dovuto spremere le sue infinite risorse tecniche e tattiche, ha avuto un momento di tensione con il solito Aminishiki, ma nel complesso ha tenuto un ritmo che non mostrava da molto tempo, dai fasti del 2005, per la precisione.
Ho raggiunto questo convincimento rivedendo il suo miglior sumo nei miei vecchi dvd e, soprattutto, riascoltando alcune sue dichiarazioni di un paio d’anni fa, in cui emergeva lo spirito del guerriero spietato e pienamente convinto di essere il migliore, il migliore di sempre.

Fino al Nakabi, vero spartiacque del Torneo per qualità degli avversari, Asayushoryu ha potuto mettere alla prova la propria tenuta fisica e mentale con avversari non irresistibili, fatta eccezione per Baruto; ma qui la sorte ci ha messo lo zampino e gli ha fatto incontrare il gigante estone proprio in apertura, con l’effetto sorpresa dalla parte dello Yokozuna apparentemente malconcio. La sua forza d’animo si è rivelata ancora una volta possente quanto il suo fisico, capace di soluzioni veloci, per non rischiare, e di grande impatto energetico, tanto da lanciare la sfida al granitico rivale dell’Est.
Asa si è lasciato alle spalle i guai e si colmato di quell’autostima che tanto ha contribuito ai suoi successi passati: vederlo tanto reattivo al tachi-ai, pur sempre con il controllo della veemenza, mi ha fatto capire che nella sua bellicosa mente si fosse solidificata l’aspettativa del ventiquattresimo yusho. Giorno dopo giorno, nella prima settimana, si è verificato il compattamento fra l’aspirazione, il desiderio di vittoria e la concreta consapevolezza di poterla raggiungere. Uno slancio, forse decisivo, al raggiungimento di questo stato di grazia è giunto dalla fatidica sconfitta di King Haku-Kong alla sesta giornata, e sono certo che in quel frangente Asa si sia sentito di nuovo al vertice del banzuke.

Quando ha dovuto far ricorso alla massima concentrazione, Asashoryu si è riscoperto intimidatore: gli scontri con i dignitari di corte, Sekiwake ed Ozeki, non hanno scalfito minimamente il suo feeling con la vittoria, semmai lo hanno reso maggiormente deciso a firmare, dopo tanto tempo, il secondo yusho in una stagione; in questa splendida progressione, realizzata senza sprecare un solo gesto e badando a non infortunarsi, ho ravvisato un surplus di carica agonistica, tanto da farmi pensare che Asa combattesse con l’immagine di Kitanoumi impressa sullo sfondo del suo campo visivo, come a tenere sempre ben fissato l’obiettivo. Credo anche che il ritrovato vigore fisico gli abbia restituito quella destrezza tattica che era venuta a mancare troppo spesso negli ultimi due anni, mostrandoci spesso un Asashoryu incerto al tachi-ai ed incapace di quegli strappi improvvisi che lo avevano portato a dominare il sumo. Tutto ha funzionato alla perfezione, almeno fino alla sfida con Hakuho.

Vorrei concludere questo mio intervento tracciando le sensazioni che ho ravvisato in Asashoryu nei due bouts con Hakuho. Nel primo, a conclusione del calendario regolare, si è verificato il primo, e forse unico, errore del Grande Mago, cosa che lo ha a dir poco indispettito. Egli non ha trovato il tempo per il tachi-ai ed ha dovuto subire la partenza in contropiede di Hakuho, restando in posizione eretta e, conseguentemente, senza alcuna possibilità di opposizione. Mentre veniva spinto oltre il tawara, la sua vorace ambizione era già al kettei-sen, ne sono convinto: altro match altra storia, avrà pensato.
La pressione non lo ha distratto, come dimostrano i fatti, e l’aggressività è stata gestita alla perfezione, pur dovendo sostenere un bout decisamente lungo e, pertanto, molto dispendioso.

All’atto del trionfo, con lo yusho in bacheca, Asa ha dato sfogo a quella gioia tanto inopportuna, per il codice comportamentale di uno Yokozuna, quanto genuina. E provocatoria. Le critiche dello YDC lo avevano sicuramente ferito nell’orgoglio di campione che ha fatto tornare la gente nei palazzi del sumo ed innalzato le entrate del Kyokai, e l’irriverenza del ribelle ha avuto il sopravvento sul rigore protocollare che ha sempre detestato.

Non è un bell’esempio per i giovani, non si allena a dovere, non ha rispetto per la tradizione nè per coloro che la rappresentano: tutto vero ed inconfutabile. Non sarò io, lontano e pagano aedo di un personaggio che ha il solo pregio di essere un genio del sumo, a contraddire i custodi della complessa dottrina che sta alla base del sumo stesso, però desidero arrogarmi l’effimero diritto di giudicare la componente più immediata, quella umana ed emotiva, che regala ai tanti appassionati, impuri come me, quegli attimi che ratificano una riflessione a me tanto cara ed attribuita allo pseudo-Longino: il sublime è l’eco di un alto sentire.