Post Basho Report

Non ho mai assistito ad uno strascico così vanamente polemico come quello che ha accompagnato la conclusione del Kyushu Basho. Non ero presente quando Taiho fu defraudato della vittoria che avrebbe portato il suo record d’imbattibilità alle stelle, suggerendo al Kyokai l’uso del replay immediato per valutare i bouts più incerti, pertanto punto sull’attualità e vado dritto al cuore della discussione.

Esistono molti modi di commentare un successo sportivo. Nel sumo, in particolare, esistono molti e diversi successi in ogni singolo Torneo: lo yusho, i premi secondari, le promozioni e le prestazioni comunque positive e convincenti. In molti casi lo yusho è stato assegnato dopo un playoff, in altri è stato deciso da uno scontro diretto ed è capitato che sia dipeso da sconfitte e vittorie incrociate, come accadde a Kotooshu quando perse contro Wakanosato nel 2005 a Nagoya, spianando la strada al tredicesimo yusho di Asashoryu.

Quando un successo legittimo e senza sconfitte viene criticato per un singolo episodio, tra l’altro ininfluente, il sapore della vittoria assume un retrogusto poco gradevole, che rischia di rovinare il palato. Le sorsate di vittorie di Asashoryu sono sempre state corpose, ricche di aromi e coloriture; a volte sono scese d’un sol fiato, altre sono state centellinate ed incerte fino all’ultimo, ma quando si mette in discussione un 15-0 e lo si vuole sporcare a tutti i costi, lasciando intendere che un gesto valga quanto l’intera performance, allora viene il sospetto che si miri al granchio per prendere il paguro, come si dice dalle mie parti. Mi spiego meglio: di tutte le obiezioni mosse allo Yokozuna, non ne trovo una sola che stia in piedi. Come ho già accennato nel forum, ritengo che questa nuova crociata contro Asashoryu intenda colpire, nipponicamente parlando, ben altro obiettivo. La gentile Signora Uchidate, vero censore dello YDC, si è esibita in una filippica senza precedenti sulla gestualità dello Yokozuna prima del match ed ha rimarcato la viltà del ketaguri contro Kisenosato: siamo sicuri che questi rimproveri non vogliano invece far ricadere su Asashoryu responsabilità mongole che appartengono ad altri? I fatti riguardanti Kyokushuzan non sono stati minimamente accennati in alcuno spazio ufficiale, come impone la tipica ipocrisia giapponese, ed il suo ritiro non è stato nemmeno menzionato nella sezione “Absence & Withdrawal Updates” del sito ufficiale del NSK. Com’è possibile? Kyokushuzan non si è ritirato dal Torneo, ma è frettolosamente e palesemente fuggito dal sumo!!! Perchè mettere a tacere l’accaduto come se Kyokushuzan non fosse mai esistito? La durissima esternazione dello YDC ha dell’incredibile: solo dopo oltre 4 (dico QUATTRO) anni ci si accorge del fatto che l’autoincitamento di Asashoryu non sia conveniente e non si addica ad uno Yokozuna? Come mai lo YDC non aveva mai colto questa offesa al codice comportamentale del sumo? Ed il ketaguri? Come si può ignorare la sproporzione tra un kimarite codificato e gli henka eseguiti dagli altri rikishi, tra i quali alcuni ex-candidati alla tsuna?

La difesa di Asashoryu è stata affidata al grande Kitanoumi, pronto nel replicare che si può discutere delle scelte tattiche e tecniche, ancorchè non così esageratamente scandalose, ma non ha senso censurare il modo in cui lo Yokozuna si prepara al match, proprio perchè questo non avviene “durante” il match. Compiendo un’azione irrituale e non conforme alla procedura giudiziaria giapponese, mi unisco al collegio difensivo del Grande Mago Mongolo e ribadisco che la repressione nei confronti del mio assistito non ha fondamento. Anche Fiorello (alias avvocato Messina) troverebbe gli argomenti per vincere la prima causa della sua pessima carriera forense…

Ciò che traspare dall’intera vicenda, è che lo YDC ha usato mezzi razionali per fini irrazionali (chi conosce la critica letteraria su Melville e Cervantes, ed il paragone tra il capitano Achab di Moby Dick e Don Chisciotte, riconoscerà la scuola di pensiero cui mi riferisco). Tutto sembra esagerato, fuori contesto e decisamente ridicolo, ai miei occhi non a mandorla. Non ravviso alcuna offensività nello “slapping” sul mawashi da parte di Asashoryu, così come non colgo la colpa grave nel ketaguri inflitto a Kisenosato: sono lieto di aver trovato un valido alleato in Alessandro, dal quale posso solo imparare, ma vorrei che in tutti voi fosse evidente l’improponibiltà delle affermazioni punitive dello YDC. Di questo passo, ci potremmo ritrovare ben presto di fronte un Consiglio molto simile alla “Santa Inquisizione”, e le conseguenze sarebbero devastanti.

Ma ora parliamo di sumo. La diciannovesima perla di Asashoryu, la quinta senza impurità, ha seguito un percorso con ostacoli iniziali, per poi infilarsi nel ricco collier di casa Akinori con estrema e logica naturalezza. Dopo le note difficoltà dei primi bouts, Asashoryu ha prodotto una serie di vittorie talmente scorrevoli da sembrare (come sempre) troppo facili. Dal match con Futeno in poi, la parata è parsa scivolare sul velluto e l’esuberanza dello Yokozuna non ha più incontrato ostacoli. L’era del Dominatore Mongolo prosegue davanti ad una platea che spera in un rapido di ritorno di Hakuho, ma che, d’altro canto, non può non prendere definitivamente coscienza della particolarissima gestione del potere da parte del Supremo Condottiero di Ulan Bator. Viviamo questa lunga teoria di affermazioni con la necessità di trovare dissonanze ed anomalie rispetto al passato, di frapporre dei “ma” e dei “se” tra Asashoryu ed il resto del sumo che lo ha preceduto. La realtà è un’altra: Asashoryu era un fenomeno visibile e prevedibile fin dal suo primo apparire sul dohyo, come tutti possono constatare negli archivi visivi, ed il suo dominio ha origini genetiche. Takanohana e Chiyonofuji sono rappresentati in lui in pari misura, in una superba combinazione di forza e tecnica, agilità ed intelligenza, concentrazione e personalità, agonismo e fantasia tattica. Asashoryu è geniale, sorprendente e vincente: non è giapponese, purtroppo, e questa pecca lo terrà sempre ai margini dei consensi che contano.

Accennavo al match con Futeno: Asashoryu ha dato la svolta al suo Kyushu Basho proprio con quella sofferta vittoria, raggiunta grazie alla sua proverbiale prontezza di riflessi, che già altre volte gli aveva permesso di ribaltare a suo favore situazioni critiche. Le sue repentine giravolte sul dohyo, le sue prese dinamiche ed i suoi incessanti tentativi d’attacco sono un patrimonio su cui sono stati costruiti i 19 titoli fin qui raccolti, e non c’è dubbio che la rendita possa proseguire in futuro.

Da Futeno in poi, dunque, lo Yokozuna non ha più avuto incertezze, liquidando tutti gli avversari con le infinite varianti del suo magnifico sumo. Anche il famigerato ketaguri, che ha generato tanta indignazione, ha una sua precisa collocazione storica: Asashoryu l’aveva usato contro Dejima nel Kyushu del 2001 (terza giornata, grazie Marco!) e forse Kisenosato avrebbe potuto immaginare che la vendetta ai suoi danni, perchè proprio di questo si è trattato, potesse avvenire ripescando nella memoria un kimarite certamente inglorioso, ma, come ho cercato di spiegare (con il conforto di Alessandro), molto più rischioso di un henka qualunque.
Asashoryu ha forzato gli eventi ed è caduto nella rete della repressione giapponese, se vogliamo usare un’espressione altrettanto forzata, ed in quel gesto è riaffiorata l’antica e spietata indole conquistatrice dei suoi avi: Asashoryu non ha voluto fare prigionieri!

La quarta affermazione annuale dello Yokozuna è stata scortata a debita distanza dal corteo degli Ozeki presenti a Fukuoka, quasi tutti in doppia cifra e variamente eroici. I malanni fisici di Kaio e Tochiazuma hanno limitato l’incremento del loro score finale, mentre Kotooshu e Chiyotaikai hanno viaggiato in corsia di sorpasso a fasi alterne. Siamo abituati a non esultare per un 10-5 degli Ozeki (FIGURIAMOCI PER UN 9-6!) e ci trasciniamo di volta in volta alla ricerca delle positività riscontrabili in spezzoni di Torneo, contenti di godere di ciò che passa il convento.

Per il bulgaro, reduce da una stagione non felice, si sono visti cenni di ripresa e qualche bella vittoria sui colleghi di categoria, con un atteggiamento decisamente migliore al tachi-ai. E’ “primus inter pares”, una soddisfazione che non coglieva da più di un anno, ma siamo sempre sul 10-5, record superato dal solo Homasho grazie al calendario favorevole. Kotooshu si è fatto da parte nella prima settimana, quasi come a liberarsi della responsabilità di dover reggere il passo di Asashoryu. Credo che la debolezza caratteriale dell’Ozeki europeo sia ormai evidente, come dimostrano i risultati della seconda settimana di gare. Nulla ha potuto contro la progressione dello Yokozuna, invece, ma questo era ampiamente in preventivo; le prime tre sconfitte sono l’ennesima riprova che al suo sumo manchi quel qualcosa di psicologico che lo renda temibile ed aggressivo, specie ora che non tende più ad indietreggiare sistematicamente.

Chiyotaikai è l’unico ad essere rimasto sotto le dieci vittorie. Non c’è più nulla da dire, al riguardo, se non che il suo sumo è ormai un mero motivo ornamentale di ogni Torneo. Se non è tsuppari è pan bagnato, potremmo commentare ironicamente, ed infatti Chiyotaikai continua a recitare il suo ruolo opaco di rikishi accademico e non più all’altezza dello yusho da moltissimo tempo. C’è chi s’accontenta di molto meno, tra i fans giapponesi, pertanto lasciamoli nella loro beata estasi indotta dalle fiammate del loro idolo mulinante e passiamo ad altro.

Kaio, il nobile Kaio, ha dissotterrato l’ascia di guerra ed ha commosso tutti: avesse avuto la stampella risorgimentale di Enrico Toti, avrebbe tirato anche quella! Ha portato l’entusiasmo ai massimi livelli e si è battuto con tutto l’orgoglio di cui disponeva, seguito ed incoraggiato come una reliquia vivente. Dopo l’ottava giornata, si è verificata l’inevitabile caduta del suo rendimento, evidenziando tutti i limiti che il tempo, e la lunga serie di acciacchi, hanno imposto alle sue ambizioni di raccogliere ancora allori. Kaio ha fatto molto più di quanto il suo punteggio lasci trasparire: ha dato un grande esempio di serietà e compostezza, rappresentando l’ultimo legame tra un passato popolato da campioni di numeri e stile, ed un presente soffocato dallo straripante talento del Grande Mago Mongolo.
Kaio era atteso a questa performance e non ha deluso la folla che lo attendeva per tributargli, ad ogni sua apparizione, un tributo di applausi e cori da far venire i brividi. L’usura del dohyo lo ha fiaccato nella seconda parte del Kyushu, quando ha affrontato gli avversari più importanti e, se mi passate l’espressione, crudeli; ha però superato Chiyotaikai e Kotomitsuki, e questo rafforza il rispetto e l’ammirazione nei suoi confronti.

La kermesse di Fukuoka è stata vissuta da Tochiazuma con sofferenza. L’infortunio, che non era sembrato così grave e che aveva lasciato dei dubbi interpretativi, lo ha costretto a combattere con un forte handicap. Ogni valutazione sul suo operato rimane sospesa tra l’elogio per aver comunque resistito e vinto 10 incontri e la reale quantificazione della menomazione subita. Se le condizioni fisiche non gli consentivano più di tanto, le vittorie sono da considerarsi il frutto di una grande prova di volontà; a gennaio, con Asashoryu fuori gioco all’undicesima giornata, le cose andavano benone e Tochiazuma vinse l’Hatsu Basho lottando con Hakuho, ma da allora non c’è più stata la consistenza del sumo ostico e caparbio che gli abbiamo sempre riconosciuto. I suoi guai fisici lo hanno portato a difendere il rango con difficoltà e senza essere più un protagonista per la conquista dello yusho. Riacquistando la piena integrità, cosa che gli auguriamo, avrebbe ancora le sue carte da giocare.

Kotomitsuki ha sfondato il muro delle 8 vittorie e si è confermato al suo livello di classifica. Ha disputato ottimi bouts e ci aveva lasciato credere di poter fare molto meglio, per poi incappare in una serie negativa e concludere un colpo sopra il suo par abituale. Nel bilancio del Sekiwake troviamo motivi di soddisfazione e molte disattenzioni.

L’altro Sekiwake, Miyabiyama, era chiamato a confermare le sue ambizioni di promozione, valutate in base al calcolo del rendimento negli ultimi 3 Tornei, ma si è fermato al kachi-koshi. Gli è mancata la vivacità che lo aveva contraddistinto nel corso dell’anno e certi tachi-ai non sono stati da cineteca. Troppo spesso ha combattuto fuori equilibrio e nella ripetitiva ricerca dell’hoshidashi, non riuscendo a velocizzare lo tsuppari al livello di Chiyotaikai. Un passo indietro, rispetto al passato, e la sensazione di un ridimensionamento, tutto sommato, giusto.

Buio pesto tra i neo-Komusubi: Aminishiki e Kokkai sono franati ben oltre la legge del loro ambito, accumulando sciagure tattiche e figuracce tecniche. A nulla è servito sostenerli con previsioni incoraggianti, dettate dal desiderio di trovare alternative ai Sanyaku in stabile carica; Kokkai non ha attenuanti, data l’occasione sprecata, mentre Aminishiki può farsi schermo dell’età, almeno. L’avventura degli ormai ex-Komusubi si è dissolta nei primi giorni, apparendo chiara la loro inconsistenza rispetto agli impegni che erano chiamati a sostenere.
Personalmente, ritenevo che il georgiano si fosse preparato bene all’impatto con i gerarchi del banzuke, avendoli battuti più o meno tutti a più riprese, e perciò non riesco a comprendere la totale assenza di mordente che ha contrassegnato la sua pessima performance. Non sarà un principe del dohyo, d’accordo, ma ha trovato sempre il modo di farsi rispettare, il buon georgiano dalla pelle delicata, invece a Fukuoka la luce si è spenta improvvisamente e senza bagliori residui.

Aminishiki dev’essere partito con qualche problema fisico, secondo me, altrimenti avrebbe fatto meglio del 6-9 finale. Nel suo tabellino, troviamo i successi contro Roho, Kokkai, Baruto e Miyabiyama, a dimostrazione che l’attitudine agli impegni importanti non è svanita d’incanto: lo 0-4 iniziale lo ha messo di fronte ad un recupero davvero arduo, considerando il calendario, ed alcuni bouts in più, quelli che gli sarebbero valsi il kachi-koshi, li avrebbe potuti portare a casa, se solo fosse stato più tranquillo.

Roho ha scongiurato con un giorno d’anticipo il make-koshi ed ha conservato i gradi con un’altalena di serie positive e negative. Ha onorato lo start-up con Asashoryu, s’è preso lo scalpo di Kotooshu e Miyabiyama e sarà ancora Sanyaku: il bilancio poteva essere decisamente più ricco con qualche acuto alla sua portata (Aminishiki, Kotoshogiku e Kotomitsuki), ed anche contro gli Ozeki senatori avrebbe potuto raccogliere almeno una vittoria, combattendo al meglio (… e senza henka!). A Roho serve un sumo di maggiore qualità.

Kisenosato è giunto di nuovo al kachi-koshi dell’ultimo momento: non che questo sia un delitto, intendiamoci, ma l’anticamera non può durare in eterno. Non penso che Kisenosato possa sperare di salire nel banzuke continuando a perdere da quasi tutti gli Ozeki (Hakuho non c’era…) e riparandosi dietro le sole vittorie sul Kaio di fine Torneo (non più motivato) e Miyabiyama (non ritorniamo sul ketaguri, vi prego!). Le 6 sconfitte con gli altri Sanyaku pesano enormemente e fanno la differenza tra il suo 8-7 e la possibilità di sostituire un Sekiwake, tanto per iniziare a mirare in alto. D’accordo l’indulgenza verso il campioncino nipponico, dovuta all’età e alla recente esperienza nel Sanyaku, ma prima o poi le alucce dovrà pure spiegarle, se intende spiccare il volo. Tempo ce n’è sicuramente, stoffa pure: aspettiamo e speriamo che possa ripercorrere il cammino di chi, poco più adulto, aveva già indosso quell’indumento vistosamente ingombrante chiamato tsuna…

Ama, che pure ha battuto Kisenosato, ha fatto piangere tanti fans (Julien in prima fila) e non ha dato che brevi cenni di quella frenesia mista a coraggio e tecnica che costituisce, di solito, il suo modo di fare sumo. Davanti al calendario che la sua veste di M1 gli imponeva, Ama si è sbriciolato come un wafer ed è scomparso sotto una buriana di sconfitte, facendoci rimangiare tutte le belle parole spese in suo favore. L’inevitabile retrocessione lo farà di nuovo combattere in un ambiente più ospitale.

Mi fermo qui e lascio a Marco, che ha seguito con più attenzione il Kyushu Basho, l’incarico di finire il lavoro.